Velluto Blu - Recensione: Confessioni di un sogno avvolto nel fumo

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A candy-colored clown they call the sandman

Tiptoes to my room every night

Just to sprinkle stardust and to whisper

"Go to sleep, everything is alright"

 

I close my eyes, then I drift away

 

Into the magic night, I softly say

A silent prayer

like dreamers do

Then I fall asleep to dreams, my dreams of you


 

I - Le Rose

La scorsa notte ho sognato rose troppo rosse per appartenere alla realtà. Non erano fiori: erano ferite che respiravano, gonfie fino all’oscenità, petali lucidi, quasi colanti, contro un cielo d’un blu innaturale, crudele, un blu finto come di un sipario dipinto per ingannare lo spettatore. Tutto taceva. Tutto sembrava plastica: case che sorridevano come maschere di porcellana, prati che brillavano come smalti stesi a coprire la polvere, irrigatori che cantavano la loro ninna nanna meccanica. Per un istante ho creduto alla cartolina, alla favola. Poi ho chinato lo sguardo. La terra si è spaccata sotto di me, e da quella crepa ho visto gli insetti: corpi informi che si contorcevano, strisciavano l’uno sull’altro, divorandosi a vicenda con una fame cieca, oscena e febbrile, tale da poter divorare il mondo nascosto sotto la superficie calma.

 

II - L'orecchio

Ho trovato un orecchio. Reciso, se ne stava buttato lì sull’erba, pallido e umido, come se mi stesse aspettando. Giaceva per terra come una porta semiaperta. L’ho accostato al viso e giurerei di aver sentito un sussurro. Attraversandola sono entrata in un altro strato del mio subconscio. Ci sono scivolata dentro. E il sogno ha cominciato a cambiare.

 

III - La voce

Le tende respiravano come polmoni. Le ombre si stendevano sulle pareti come olii neri, viscidi, appiccicosi. Il fumo colava lento dal soffitto, come se il tempo si fosse fermato, congelato nel suo stesso respiro. Da un punto invisibile giungeva una melodia: fragile, vellutata, tremante. Dorothy. La sua voce era sale e profumo, sangue e seta. Ogni nota era un filo che mi legava più stretta a lei. Non cantava solo per se stessa. Cantava per me. E io lo sapevo: avrei dovuto distogliere lo sguardo, voltarmi, scappare. Non l’ho fatto. Non potevo.

 

IV - La falena

Un ragazzo la seguiva nelle tenebre, come una falena attratta dalla luce. Jeffrey - curioso, fragile, la cui innocenza già si stava sgretolando. Ogni passo lo spogliava della purezza, ogni sguardo lo piegava verso l’ossessione. Il sogno lo aveva reclamato, e io con lui. Anch’io volevo vedere di più. E non è forse questa la confessione più pericolosa? Non la violenza, ma la brama di guardarla. Non il mostro, ma il desiderio di incontrarlo.

 

V - La tempesta

Il sogno diventava sempre più fosco, e nell'oscurità sentivo un'altra presenza. Una forza vulcanica e fuori controllo, una tempesta fatta carne. Frank. Lacerava la stanza il suo respiro affannoso per le sostanze chimiche, la sua voce un'arma. Urlava la sua devozione, la sua furia, il suo amore perverso. Una frase così violenta da diventare umoristicamente surreale, echeggiava nel sogno come un canto, come una risata, come una maledizione che non può essere revocata. Il riso e la paura erano ormai lo stesso colore. L’assurdo diventa minaccia, la minaccia si deforma in grottesco, e dal grottesco sgorga il terrore.

 

VI - Gli specchi infranti

E la musica continuava. Sempre. Bobby Vinton cullava con la sua voce troppo dolce, come zucchero sciolto in veleno. Poi arrivava Roy Orbison, tenero, struggente, fino a essere profanato, trascinato in una ninna nanna che non consola ma divora. Dean Stockwell mimava le parole con grazia spettrale, Frank lo guardava incantato, e io restavo immobile, inchiodata dalla vergogna e dal desiderio. Ogni canzone era uno specchio: la bellezza che si rivolta contro se stessa, la dolcezza che si decompone in minaccia. Ho capito che la colonna sonora non era cornice. Era una confessione. La mia.

 

VII - Il regno cromatico

I colori del sogno mi avvolgevano come manti di velluto. Blu così profondi da sembrare senza fondo, rossi che colavano come ferite aperte, luci accecanti e ingannevoli. Frederick Elmes dipinge con estremi e ogni tonalità è pericolosa. L’appartamento di Dorothy era ventre e tomba, rifugio e condanna. Ogni inquadratura era splendore e minaccia, attrazione e pericolo. Ed io venivo sedotta dalla trappola stessa. Non dalla sua bellezza: dal rischio della sua bellezza.

 

VIII - La confessione

Eppure restavo. Restavo ad ascoltare Dorothy spogliarsi attraverso il canto, restavo a ridere e rabbrividire davanti all’osceno teatro di Frank, restavo per i colori che mi ferivano gli occhi. Lo ammetto: lo volevo. Volevo il pericolo, volevo la ferita, volevo la bellezza che brucia. Vedere Dorothy spogliarsi del suo dolore è stato come assistere a un gesto proibito, fragile e sensuale al tempo stesso, che mi ha lasciato addosso un senso di vergogna ardente. Sentire Frank urlare amore come fosse violenza mi ha fatto sorridere per un istante, ma subito dopo le mie labbra si sono piegate per la paura. È stato allora che ho compreso: il sogno mi stava denudando lentamente, costringendomi ad accettare che desiderio e terrore camminano insieme, intrecciati nello stesso respiro.

 

IX - Il pettirosso

Quando il sogno è cambiato ancora, il cielo è tornato blu. Assieme al sorriso dei vicini è tornata la promessa del lieto fine. Un pettirosso, un insetto nel becco: simbolo da cartolina, pace ristabilita, equilibrio ritrovato. Avrei dovuto provare sollievo. Invece provai tradimento. Perché io sapevo. Gli insetti erano ancora vivi. La marcescenza non era svanita, solo nascosta. Il sogno non si spegne mai: attende, nell’ombra, il prossimo tramonto.

 

X - Il risveglio

Mi sono svegliata inquieta. Le rose erano ancora sotto la finestra. Il cielo ancora blu. Tutto sembrava pulito, ordinario, innocente. Ma io li sentivo, gli insetti. Li sentivo. Ho scritto queste righe perché non volevo dimenticare, ma anche perché devo confessarlo: mi è piaciuto.

Mi è piaciuta la paura che mi ha trafitto come una lama sottile.

Mi è piaciuta la bellezza spezzata, sanguinante e fragile.

Mi è piaciuta la comicità grottesca, ridere davanti all’osceno, scoprire il grottesco dentro l’orrore.

Mi è piaciuta l’intimità pericolosa, che sfiora e insieme ferisce.

Mi è piaciuto, sopra ogni cosa, il buio vellutato che mi ha avvolto come una carezza velenosa.

 

XI - La verità

Forse la confessione più amara è questa: non ci accontentiamo di guardare, desideriamo farlo. Cerchiamo la ferita con le dita, vogliamo sfiorarla, sentirne il dolore e il calore. Vogliamo rimanere nel sogno anche quando brucia, anche quando ci divora.

Lynch non ci accusa, non ci assolve: ci espone. Lascia un orecchio nell’erba e sa che, inevitabilmente, noi ci piegheremo su di esso. Sempre.

 

XII - L'eco

Anche da svegli, il sogno ci resta appiccicato addosso. Rose che sbocciano. Cielo che brilla. Insetti che strisciano. Sempre. E da qualche parte, tra fumo e tende, s’intravede l’ombra di ciò che deve ancora arrivare: una foresta, un gufo, una stanza rossa.