Recensione Cloud: Il capitalismo è solo una via verso l’inferno

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Kyoshi Kurosawa, per qualsiasi fan più o meno fissato con la cinematografia asiatica, rimane il maestro del cinema horror giapponese, colui che è riuscito insieme ad autori come Hideo Nakata a esportare e far apprezzare il genere globalmente (mettendo da parte i terribili remake occidentali che ne conseguirono).

Ma un’etichetta del genere è troppo piccola per poter inserire tutte le caratteristiche di una filmografia come quella di Kurosawa, così colma di tensione e di un’angoscia perenne e agghiacciante, che non si confina soltanto all’horror.

Se in Tokyo Sonata il regista si era concentrato sulla semplice tragicità di una comune famiglia giapponese, in Cloud Kiyoshi Kurosawa esplora un genere diverso dal suo solito e che avrebbe sempre voluto toccare, come l’action.

Ma anche in questo caso il tutto parte da una storia piuttosto semplice. Infatti, Cloud si concentra sulla vita di un uomo che si arricchisce rivendendo a prezzo maggiorato su internet qualsiasi tipo di oggetto: dalle borse alle action figure, che siano contraffatte o meno.

Nella prima parte (che è anche quella in cui di action non se ne vede l’ombra), il regista ci mostra l’incubo di vita che viene condotto da un uomo nella società moderna.

Una vita volta al guadagno fine a sé stesso, in cui guardare il bilancio del proprio conto in banca diventa un'ossessione e una specie di gioco d’azzardo, in cui internet con le sue mille potenzialità porta a voler sempre di più: non basta rivendere la merce al doppio del prezzo che si è pagato ma lo si moltiplica per dieci.

Il tutto è sempre veloce, non c’è spazio per la pazienza, se qualcosa non viene completamente venduto in poche ore allora il prodotto è scadente e di poco interesse.

O forse semplicemente il regista non è così consapevole delle vere dinamiche presenti in rete, rendendo inizialmente il tutto troppo facile per il protagonista. Su che sito sta vendendo per permettere ai prodotti di essere trovati e venduti così in fretta? Perché non ci sono recensioni? Perché non cambia username quando viene scoperto?

Soprattutto per i registi delle generazioni passate, trattare le dinamiche del web sembra essere sempre complicato. Come è accaduto di recente anche a David Cronenberg con il suo The Shrouds, in cui l’utilizzo massiccio di internet e dei mezzi di comunicazione appare ingenuo e asettico.

E tutto questo porta alla seconda, e più problematica, parte del film, in cui tutti i nemici del protagonista si ribellano contro di lui.

Il problema è che la posta in gioco non è mai abbastanza alta.

Si tratta semplicemente di un uomo che rivende online oggetti contraffatti o che pompa in maniera eccessiva i suoi prezzi, ma tutto sommato nessuna “vittima” subisce tanto da giustificare le proprie azioni vendicative.

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Kurosawa stesso ha definito Cloud come un film di vendetta con protagoniste delle “persone normali”, cosa che rende ancor più fallace la caratterizzazione dei suoi personaggi.

Anche perché il film finisce per sembrare una versione meno riuscita di lavori tematicamente simili di esimi colleghi asiatici del regista. Basta pensare al modo in cui il tema della vendetta è sviscerato nella trilogia di Park Chan-wook, e parlando di persone normali, non si può non citare il comprensibilissimo desiderio di rivincita dei protagonisti di Lady Vendetta; mentre il concentrarsi del regista su colui che in realtà è il carnefice della storia ricorda fortemente Pietà di Kim Ki-duk (ma in quel caso il terribile protagonista finiva per gambizzare o mutilare definitivamente coloro che non pagavano i debiti degli strozzini, molto diverso dal far pagare troppo a qualcuno un’action figure...)

E forse il tono della parte finale, con la sua assurdità ed esagerazione, mirava ad essere ironico, come si vede anche dalla goffaggine degli evidentemente “normali” membri del gruppo di odiatori del protagonista. Ma il tutto non è abbastanza spinto. Tutto ciò rende l’azione semplicemente scialba e priva di mordente.

Il problema delle motivazioni dei personaggi e della loro caratterizzazione si concretizza al meglio nell’assurdo personaggio dell’assistente del protagonista, che cambia totalmente e in un modo che non può sembrare altro che un comodissimo plot device.

Queste chiare problematiche nello sviluppo della trama dispiacciono, perché come al solito il regista riesce a creare una storia visivamente impeccabile, dalla bellissima fotografia all’innegabile ottima regia, sempre presenti nei lavori di Kurosawa.

Oltre a una veramente interessante parte iniziale, in cui alla “anormale normalità” di una triste vita moderna si unisce un senso di angoscia costante, una paura continua alimentata dal mistero di perseguitatori nascosti al punto giusto, visibili a metà o la cui presenza è anticipata dall’inquietudine di un lungo silenzio.

Il problema è che una così ben riuscita anticipazione porta ad una conclusione insoddisfacente, in cui tutto il mistero e l’intrigo scompaiono.

Invece che soffermarsi sulla vaporosa indefinitezza di quelle nuvole che avvolgono il protagonista nel finale, Cloud si perde proprio nella sua troppa concretezza.

Lo si vede chiaramente se lo si paragona al capolavoro del regista, Kairo. Se nel vecchio film la paura e l’angoscia aumentano tanto più che il male è celato, visto per metà come un'ombra indistinta che avanza inesorabilmente verso di noi, in Cloud il tutto diventa reale nella maniera più banale possibile.

Così come la critica di internet. Che riusciva così forte in Kairo per come quel mondo fosse ancora così incomprensibile sul finire degli anni Novanta, si poteva realizzare tutto ma non si sapeva quale sarebbe stato il costo da pagare. Ora sappiamo cosa abbiamo perso così come sappiamo cosa internet continua a farci guadagnare costantemente, ma proprio perché tutti ne siamo a conoscenza non è più possibile parlarne con una vaga conoscenza sommaria.

Forse perché a contatto con una materia sconosciuta o forse per l’accavallarsi di troppi progetti a cui pensare, con Cloud  Kiyoshi Kurosawa crea un film in cui sembra portare avanti a forza un'idea non troppo definita. 

Quello che rimane però è il messaggio che permea l’intera filmografia del regista: un continuo allarme nei confronti di una società volta al guadagno e al successo, che sta pian piano disgregando le dinamiche sociali e portando silentemente ognuno di noi verso un inferno fatto di egoismo e solitudine.