28 anni dopo - Recensione
"28 Anni Dopo" rappresenta un ritorno a casa sotto ogni punto di vista. Per noi spettatori, significa immergersi nuovamente in quell'Inghilterra devastata dagli infetti, mentre per gli autori, Danny Boyle e Alex Garland, segna il ritorno al timone della saga che ha rivoluzionato lo zombie movie nel lontano 2002. C'è anche un chiaro ritorno alle origini formali: se il primo capitolo fu un pioniere nell'uso dei "camcorder digitali" (all'epoca visti con scetticismo), questo sequel spinge l'innovazione ancora più in là, essendo stato girato quasi interamente con degli smartphone.
Ma il ritorno non è solo formale. "28 Anni Dopo" si rivela una potente ripartenza per un genere che, da qualche anno, sembrava ormai in declino. Il film riesce a rinnovare il linguaggio di questa saga, proponendo personaggi e tematiche nuove, capaci di toccare corde profonde e viscerali. La velocità del montaggio, la sua imprevedibilità, l’intensità delle sequenze, ci gettano dentro un Regno Unito isolato, infestato e lacerato dal terrore. La lotta quotidiana per la sopravvivenza si fa palpabile, tangibile, e lo spettatore non può fare a meno di essere travolto.
L’apertura del film è disturbante: bambini che guardano i Teletubbies su una TV a tubo catodico, mentre l’infezione irrompe nel loro mondo. La fuga disperata di un ragazzino, l'orrore della trasformazione degli altri in creature assetate di sangue, ci immergono subito nel cuore del caos. Poco dopo, scopriamo che l'infezione è stata respinta da tutti i paesi europei, tranne il Regno Unito, rimasto isolato e in quarantena. È impossibile non cogliere una sottile, ma pungente, critica alla Brexit e alla politica isolazionista britannica. Garland e Boyle ci mostrano con lucidità le divergenze sociali e comportamentali che emergono in tempi di crisi, stimolando una profonda riflessione sulla divisione e sulla solidarietà all'interno della società.
Al centro della storia c’è Spike, un ragazzo di dodici anni interpretato magistralmente da Alfie Williams, che si fa portatore di un nuovo sguardo su una realtà distrutta. Spike è un giovane membro di una comunità che vive su un piccolo isolotto, poco lontano dalla “terraferma”, e la vicenda segue i suoi viaggi in un mondo che gli è estraneo. Il primo, intrapreso insieme al padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson), si rivela un'esperienza che segna l’inizio di un conflitto interno e di un crescente attrito tra padre e figlio. Le divergenze tra loro, già palpabili, diventeranno un tema centrale, soprattutto quando Spike si troverà a dover affrontare una missione ancora più personale e urgente: la salvezza della madre (Jodie Comer), malata e apparentemente abbandonata.
Emergono una riflessione sul memento mori, il ricordarci della nostra mortalità, e sul memento amoris, il ricordarci di amare, di agire con compassione e umanità anche nei momenti più bui. Questi temi vengono sollevati dal Dottor Kelson (Ralph Fiennes), il personaggio più affascinante del film, che, attraverso le sue parole e la potenza delle immagini, dà voce a una delle scene più poetiche e significative della pellicola. In un mondo devastato, la sua riflessione ci invita a non dimenticare la bellezza dei legami umani e l'importanza dell'amore, anche quando la morte e la sofferenza sembrano dominare ogni cosa.
Un occhio attento non potrà fare a meno di notare riferimenti al mondo videoludico e agli anime. Non è una sorpresa, considerando che Alex Garland si era ispirato a "Resident Evil" per l'origine virale dell'apocalisse zombie nel primo capitolo. Qui troviamo diverse categorie di infetti, tra cui degli "alpha" che, nell'aspetto e nelle movenze, ricordano chiaramente alcuni giganti di "Attack on Titan". Il tutto è messo in scena in maniera sporca, brutale e viscerale, con l'uso di frame in infrarossi che lasciano il segno.
In sintesi, "28 Anni Dopo" ha una nuova e potente visione che riesce a riscrivere il genere, restando fedele però alle sue radici. Senza cedere alla tentazione di fare "Elevated Horror", riesce a mantenere la brutalità e l'urgenza del primo capitolo, portando avanti una riflessione sociale e umana che trascende la semplice dimensione horror. Un grande film che, con coraggio, guarda al futuro senza dimenticare il passato.