Pedro Almodòvar - 10 film da vedere e rivedere

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A dicembre le sale italiane hanno ospitato La stanza accanto, l’ultima pellicola di Almodóvar fresca di Leone d’oro, su cui i pareri sono stati contrastanti: personalmente credo sia un film sui generis che sicuramente ha qualcosa da dire, ma lo fa con un linguaggio freddo e calcolato, non coerente al manifesto poetico del regista poiché troppo asettico e troppo poco chiassoso emotivamente. E così ecco una lista di film (in ordine sparso) che veramente vale la pena di guardare, film che si muovono tutti in un universo pressoché stabile e delineato sin dagli esordi.

Tra gli elementi che non possono mancare troviamo prima di tutto personaggi che non vogliono risolversi, non si vedono allo specchio come problemi a cui venire a capo: nascono, cioè, incoerenti e scomodi e rimangono tali. Spesso si tratta di persone queer, o a volte madri amorevoli ma assenti; in ogni caso la tridimensionalità non viene mai tradita. I temi sono sì spinosi e talvolta davvero al limite, eppure l’effetto che si ottiene immergendosi in una realtà così vivida e complessa è di uscirne paradossalmente con le idee chiare, tutto si riduce a sentimenti estremi e totalizzanti su cui c’è poco da dibattere. Un esempio è l’impercettibile scarto tra amore e ossessione, che un Antonio Banderas degli anni Ottanta non avrebbe saputo illustrare meglio in Legami! e La legge del desiderio.

La sfida che Almodóvar lancia in molti dei suoi lavori è proprio quella di proporre tematiche spinose su cui sapremmo certamente schierarci, se non fosse che a incarnarle sono personaggi che nel nostro giudizio non avremmo mai considerato. Ci disorientano e ci fanno empatizzare con le loro ragioni, prima di chiederci se siano giuste o sbagliate: una suora con l’HIV, un chirurgo che vuole rivendicare il dolore di sua figlia, un infermiere ossessionato da una paziente, una madre devota solo alla propria carriera, stalker che non sono mai stati amati.

È questa la sede opportuna anche per commemorare Marisa Paredes, una delle muse del regista venuta a mancare poche settimane fa, interprete minuziosa e commovente, salutata affettuosamente da Penélope Cruz e Rossy De Palma in un post su Instagram. Lei, come Cruz e de Palma ma anche come Victoria Abril e Cecilia Roth, ha fatto e farà sempre parte delle Donne di Almodóvar, una categoria così sui generis da essere anche stata cantata in Yo quiero ser una chica Almodovar: vive, colorate, disperate ma mai senza risorse.

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Tacchi a spillo (1991)

Forse uno dei suoi film più erroneamente snobbati, Tacchi a spillo mette in scena un intricato sistema di pesi e contrappesi, di vuoti decennali riempiti da applausi, e di liberazioni che prendono la forma della morte. Marisa Paredes ci regala un'indimenticabile esibizione teatrale di “Piensa en mi” con cui apre definitivamente le porte all’empatia nei confronti del suo personaggio, una madre che fino a quel momento aveva tutto delle star e nulla di umano.

Volver (2006)

Volver: tornare, ma anche diventare, trasformare. Una perfetta commistione di pathos e ironia, un raro equilibrio nello svolgimento come nell’interpretazione, tanto da aver fatto guadagnare all’indissolubile gruppo delle sei protagoniste il premio a Cannes per la migliore interpretazione femminile (oltre alla miglior sceneggiatura). Un giallo al femminile, sì, ma anche una buffa commedia, un percorso di riscoperta di sé e uno squarcio sul folklore della Spagna dell’entroterra.

Parla con lei (2002)

Sicuramente il suo film più estremo (su Letterboxd gli utenti lo hanno valutato o con mezza stella o con cinque), è frutto della malsana impresa di far provare pietà e compassione nei confronti di quello che è a tutti gli effetti un abusatore, un uomo solo, pazzo e ambiguo, ma innamorato. Se il tentativo sia riuscito o no, spetta a voi giudicare; certo è che il regista è consapevole di quanto sia facile condannare qualcuno che incarna la nostra idea di mostro, mentre più insidioso diventa giudicare una persona fragile, non conforme al concetto di malvagità e per questo più spiazzante.

La legge del desiderio (1987)

“Amami ancora, fallo dolcemente, solo per un’ora, perdutamente”. Che nell’universo cinematografico creato da Almodóvar amore e follia siano ammanettati insieme lo si capisce sin dai suoi esordi, e qui lo vediamo sia dalla trama principale sia dalla sottotrama che emerge solo verso la fine. Come in Parla con lei, viene sfidato ogni senso etico dello spettatore, che sa cos’è sbagliato, eppure tacitamente comprende il meccanismo che scatta quando un amore non viene corrisposto, un meccanismo talmente preciso e automatico da poter essere definito, appunto, una legge.

Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988)

Le donne di Almodóvar finiscono sempre per impazzire a causa di un uomo, e Pepa non fa eccezione; ma nell’arco di una giornata arrivano altre donne ancor più disperate a farle compagnia sull’orlo della crisi di nervi, sorseggiando del gazpacho insieme a due agenti della polizia. In uno scenario decisamente camp e dai toni surreali, fa la sua seconda comparsa Rossy de Palma dopo un ruolo secondario in La legge del desiderio, consolidando la collaborazione col regista che verrà portata avanti fino ai lavori più recenti. Una curiosità: in Gli abbracci spezzati (Almodóvar, 2009) il film attorno cui ruota la storia è proprio una versione parodistica di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, intitolata Chicas y maletas.

Carne trémula (1997)

Un film che fa valutare e poi rivalutare ancora il concetto di destino, che si diverte a promettere la stessa donna a uomini diversi senza fare i conti con la donna stessa, interpretata dalla giovane Francesca Neri. Forse uno dei pochissimi suoi film in cui non troviamo dilemmi sull’identità personale né particolari denunce sociali, e che mostra invece come il riscatto e la rivincita possono essere non il punto di arrivo ma la curva di un cerchio che si richiude su se stesso.

Tutto su mia madre (1999)

È il primo film che salta alla mente di molti pensando ad Almodóvar, anche forte del premio Oscar come miglior film straniero e miglior regia per Cannes. Superati i primi dubbi e i colpi di scena, la trama sgorga da una fonte così spontaneamente disarmante da dimostrarci che la veridicità spesso va – deve andare – contro le logiche prestabilite, e che la “normalità” è un concetto che nasce e muore entro le 4 mura di casa di ognuno di noi. Il monologo pronunciato da Agrado davanti a una platea perplessa e incuriosita esprime perfettamente il manifesto del film: “Una è più autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa”.

Légami! (1990)

In una storia che nasce inquietante e finisce disperata e dissonante – una storia in cui ancora una volta ci confondiamo con ognuno dei personaggi e finiamo per perderci – Victoria Abril dà voce a un sentimento attribuibile, ma non riducibile, alla sindrome di Stoccolma, e dopo La legge del desiderio Antonio Banderas sembra essere ormai perfettamente a suo agio nel ruolo di affascinante persecutore. Oggi probabilmente avrebbe creato molto più scalpore o non sarebbe mai uscito (come del resto Parla con lei), ma per questo è ancora più urgente vedere film scomodi e discuterne, senza insabbiarli comodamente nel politicamente scorretto.

La pelle che abito (2011)

Presentato in concorso a Cannes, La pelle che abito si potrebbe definire non un body horror bensì un body thriller, uno dei suoi film più riusciti pur discostandosi molto dallo stile abituale: il nucleo drammatico (che ruota tutto attorno al corpo e all’identità) risulta ancor più acuito dal suo “sbiancamento”, dalla privazione di ogni elemento ironico o visivamente colorato a cui invece eravamo soliti. Il bianco riempie ogni cosa, fino a ribellarsi a quell’ostentata ossessione di purezza e perfezione.

La mala educación (2004)

Flashback e presente, realtà e cinema, confessioni e identità miscellanee. Il brano che fa da sfondo al passato dei protagonisti è Cuore matto, e, come nella canzone, la verità fa fatica a uscire, deve lottare contro reputazioni importanti e sogni di gloria per venire a galla, in una costante riconfigurazione di un puzzle complesso e a più dimensioni. La critica alla Chiesa risulta attualissima e feroce, accompagnata dalla riflessione su innocenti e peccatori: la parola d’ordine è “niente è come sembra”.

A cura di Giulia De Petris