Nosferatu - La recensione

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Ho sempre nutrito una profonda fascinazione per il mito del vampiro. L’idea dell’immortalità, del diventare predatore e del vivere nella notte ha sempre esercitato su di me un’attrazione irresistibile. Complici anche le moderne rappresentazioni cinematografiche con cui sono cresciuto, come Intervista col vampiro, Buffy l’ammazzavampiri, Underworld e Dracula di Coppola, ho imparato a vedere questa figura come romantica, trascurando tutti gli aspetti più oscuri e corrotti, che in realtà dovrebbero caratterizzarla. Crescendo però la mia “sete di vampirismo” mi ha portato ad esplorare le rappresentazioni cinematografiche e letterarie più antiche di questa figura, facendomi comprendere quanto in realtà i vampiri, gli strigoi, i nosferatu nascano come esseri repellenti ed inquietanti e che il loro lato più umano sia nato dall’esigenza di cercare di farci empatizzare con loro, soprattutto quando questi diventano protagonisti. Sono contento che Robert Eggers abbia voluto riesumare - letteralmente - l’idea inquietante e marcia che è quella del vampiro del folklore e del romanzo di Stoker.


Perché il Nosferatu di Robert Eggers non è solo un remake del capolavoro espressionista del 1922 di Murnau, ma una reinterpretazione che, pur omaggiando le radici del vampiro cinematografico, dialoga con i grandi del passato per affrontare temi contemporanei come la salute mentale e la repressione della sessualità. 


Con la sua meticolosa attenzione ai dettagli storici e folkloristici, già evidente sin dalla sua opera prima, The VVitch, Eggers riesce a ricreare atmosfere dense e inquietanti, restituendo l’essenza primordiale del mito del vampiro attraverso l’occhio e la sensibilità contemporanea.


Ogni inquadratura, pregna di dettagli scenografici e costumi curati, diventa un dipinto vivente. Questa ricerca dell'autenticità è sottolineata da location suggestive come il Castello di Hunedoara, in Romania, scelto per la sua architettura complessa e i legami storici con la tradizione della Transilvania e con Vlad Tepes.

Ellen, interpretata con intensità e fisicità da Lily-Rose Depp, si pone al centro della narrazione come un personaggio complesso e stratificato. Attraverso di lei, il film esplora temi profondi come la salute mentale, l’emancipazione femminile e il conflitto interiore tra i nostri istinti più primordiali e ciò che consideriamo moralmente giusto. Il personaggio di Ellen non è solo un tramite, ma una forza narrativa che rende tangibili le tensioni emotive della storia.


Il cuore narrativo del film è rappresentato dall’interazione tra Ellen e il Conte Orlok, interpretato con inquietante maestria da Bill Skarsgård. Il film restituisce una rappresentazione fedele alla visione originale del vampiro di Bram Stoker, riproponendo dettagli spesso trascurati, come i baffi e l’aspetto marcescente del Conte. Questa scelta estetica, insieme alla recitazione di Skarsgård, trasmette un senso di decadenza e terrore che amplifica la carica emotiva del racconto.

A completare il quadro, Nicholas Hoult interpreta Thomas, un personaggio segnato da una vulnerabilità che contrasta con la natura predatoria del Conte Orlok.

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Attraverso il suo sguardo, il pubblico è guidato a scoprire la vera natura possessiva e tossica del Conte, che non si limita a bramare il sangue delle sue vittime, ma mira a esercitare un controllo totale sulle loro vite. La relazione tra Orlok ed Ellen diventa così una potente metafora delle dinamiche di potere e manipolazione, dove il vampiro incarna un’estrema forma di possessività, trasformando il film in una riflessione profonda sulle dinamiche di dominio e libertà.


Al centro del film risiede una profonda riflessione sulla natura dell'orrore che alberga nell'animo umano, elemento che costituisce il vero fulcro tematico dell'opera. Il film suggerisce che la vera mostruosità non si manifesta tanto nella figura soprannaturale del vampiro, quanto piuttosto negli impulsi repressi, nelle ossessioni e nelle pulsioni che caratterizzano la natura umana. Questa lettura rappresenta la chiave di accesso fondamentale per comprendere appieno l'opera di Eggers.


Il regista costruisce infatti un'elaborata metafora in cui il Conte Orlok diventa lo specchio deformante dei nostri lati più oscuri, mentre i personaggi umani, e in particolare Ellen, si trovano a confrontarsi con i propri demoni interiori in un crescendo di tensione psicologica. Tale dimensione viene esplicata più volte dal personaggio di Von Franz, interpretato da un sempreverde Willem Dafoe, invitando gli spettatori a una riflessione più profonda sulla propria interiorità.


Sebbene Nosferatu sia tecnicamente impeccabile, per alcuni spettatori la sua aderenza ai canoni dell'elevated horror - approccio predominante nel cinema horror d'autore dell'ultimo decennio - potrebbe risultare scontato. Nonostante Eggers bilanci sapientemente la ricercatezza formale con un design più viscerale del Conte, il film si inserisce in un filone stilistico che, pur nella sua indubbia raffinatezza, rischia di apparire fin troppo codificato a chi ha seguito l'evoluzione del genere horror negli ultimi anni.



In conclusione Nosferatu esplora l’idea che il vero orrore non risieda soltanto nel vampiro, ma in quel richiamo silenzioso e inquietante che nasce dentro di noi, spingendoci a invitarlo. Come Ellen, forse siamo complici della nostra stessa rovina, attratti dall’ignoto e dall’oscuro, chiamando i demoni verso di noi, lasciandoli penetrare nelle pieghe più recondite della nostra anima, dove si annida il lato più inquietante e inconfessabile della nostra natura.