Grand Theft Hamlet - Recensione: C'è sempre spazio per la tragedia umana
Il teatro è un’imitazione del reale. Così argomentava il vecchio e saggio Aristotele nella Poetica. L’allievo di Platone, diretto successore della dottrina delle idee che aveva trasportato la verità dal mondo naturale della physis – in cui le cose del reale trovavano la loro verità nel loro essere denominate – all’iperuranio delle idee da cui le cose del mondo, le copie, discendono, vedeva nel palcoscenico teatrale un reale impuro. Immaturo. Dunque, anche la tragedia greca, così magnifica e brutale in cui tutte le contraddizioni e i limiti degli esseri umani prendevano forma e divenivano racconto, era per un antico greco una imitazione del reale.
Amleto vede il fantasma di suo padre. Questo fantasma gli parla. Gli confessa che non è morto per malattia ma è stato assassinato da suo zio che adesso si è sposato con la madre di Amleto. Ciò che ha visto e sentito era reale o un’illusione? Amleto, personaggio inconsapevole di star vivendo solo in quanto attore che agisce su un palco, dubita. Dubita della conoscenza delle cose, della verità delle cose. Ma deve avere una risposta. Deve sapere se c’è del vero nell’illusione. Se ciò che è dichiaratamente finto sia solo un velo adagiato sulla verità. Allora prende proprio quell’imitazione del reale sentenziata da Aristotele e la rovescia. O meglio, Shakespeare la rovescia. Amleto metterà in scena un’opera teatrale in cui il re della storia verrà assassinato da suo fratello, così se Claudio, suo zio, osservando questa finzione avrà una reazione, allora il vero nel reale sarà svelato. Quell’illusione sarà stata davvero l’unico accesso alla verità. Prima del grande disvelatore del reale, del filosofo della superficie, di quel «mobile esercito di metafore» che è la verità per Friedrich Nietzsche, Shakespeare mostrava come la realtà potesse essere svelata solo dalla finzione.
Sam Crane e Mark Oosterveen chiacchierano su GTA. C’è il covid e siamo tutti rinchiusi nelle nostre case. L’unica parvenza di accesso a una qualche forma di realtà è il virtuale. Questo strano universo che sfugge alla semplice definizione di “imitazione della realtà”. A cui la semplice rielaborazione del reale per scopi ludici sta stretta. Sam e Mark, che sono due attori teatrali, dovevano mettere in scena l’Amleto ma il covid gliel’ha impedito. Così, mentre vagano per la sterminata mappa di GTA, si imbattono in un teatro. GTA può diventare il palcoscenico del loro Amleto. La finzione teatrale forse può trovare la sua realizzazione all’interno di un’ulteriore finzione dichiarata. E mentre loro tirano su questo spettacolo, un secondo sguardo media tra il loro giocare e, il nostro guardare: lo sguardo documentarista di Pinny Grills, moglie di Sam e poi regista di questo film. Il documentario, l’arte cinematografica che per eccellenza osserva il reale senza la presunzione di svelarlo o coglierlo appieno, ma cercando di restituirne la complessità, cercando di mantenersi in equilibrio tra la realtà e la finzione, diventa lo sguardo d’accesso alla virtualità.
E allora quello svelamento del reale provocato solo dalla finzione costruita dal teatro di Amleto come si comporterà nel virtuale? In questa illusione di un’illusione, ideale di un’ideale, reale di un reale?
«Nella consapevolezza di una verità ormai contemplata, l’uomo vede ora dappertutto l’atrocità o l’assurdità dell’essere»
La nascita della tragedia - Friedrich Nietzsche
La chiave di volta sta nel documentario. Il documentario pone, inevitabilmente, di fronte alla sensazione del vero. C’è, nella pratica documentaria e nel suo intento, la volontà di mostrare qualcosa di vero restituendo la complessità di quella realtà che dovrebbe costituire il vero. Così, se la finzione cinematografica o teatrale svela il vero, il documentario che guarda a questa finzione determina un cortocircuito. È la partecipazione a questo spazio virtuale che il documentario coglie. La complessità di uno spazio che non è semplicemente una finzione dichiarata, come l’arte in generale, ma è partecipata. Il virtuale diventa un momento del reale.
Così, Sam e Mark ripongono le proprie speranze e il proprio umore nel gioco. Sono appagati solo nel virtuale. Credono nella realtà del virtuale. E Penny, che osserva e riprende questa partecipazione al virtuale, partecipandone anche lei seppur con uno sguardo più distaccato, dice a Sam che sta troppo dentro questo gioco. Che si sta dimenticando del reale che lui, in quanto essere umano, deve vivere. Sam se ne rende conto e dice di volerla abbracciare. Ma non può abbracciarla nel gioco, in quel virtuale. Mentre lo dice, si dimentica che convive con Penny e che gli basterebbe salire le scale di casa sua per abbracciarla. Nella semplicità documentaristica, a tratti retorica, di questa scena, non si svelano solo gli effetti negativi, dissocianti che il rifugio nel virtuale, dettato dal covid, ha provocato, ma soprattutto si manifesta il cortocircuito di questo nuovo livello di verità.
«What a piece of work is a man. How noble in reason, how infinite in faculties»
Dall’Amleto di Shakespeare, riscritto per Grand Theft Hamlet
Eppure, questa tragedia verrà messa in scena. L’Amleto, come le tragedie greche, verrà trasportato e trasporto in centinaia di luoghi e forme, addirittura su GTA, ma continuerà a mettere al centro ciò che determina tutto quanto c’è di riflesso. Tutto quanto sia di reale e finto, illusione e verità. L’uomo. È la tragedia umana che si dispiega nella virtuale e sterminata mappa di GTA. L’Amleto di Shakespeare si fa metafora di un mondo virtuale governato dalle stesse istintività, pulsioni, sentimenti umani, semplicemente amplificati. Tutta la brutalità, l’assurdità, la comicità demenziale, la violenza gratuita dei meccanismi che regolano GTA, si fanno, una volta distaccatisi da quel “reale” mondo esterno che il covid ci aveva negato di vivere, vitalità. Il documentario mostra lo scollamento dal reale che si fa vita nel virtuale. Sam abbraccerà sua moglie nel mondo “reale”, ma continuerà ricercare il sentimento, l’emozione, l’umano nel virtuale. E mentre vaga per la mappa di GTA recitando il monologo di Amleto sulla bellezza dell’uomo e il suo essere contemporaneamente «quinta essenza di polvere», noi osserveremo la bellezza e la bruttezza, la violenza e la dolcezza di quel mondo virtuale che è GTA. E quella camera documentaria non cercherà più di stare in equilibrio tra il reale e la finzione, ma tra il reale e il virtuale, mostrandoci ancora una volta ciò che compone questo reale e questo virtuale, come questa verità e questa illusione: l’uomo.
«And it’s so sort of beautifully expressed in this world, that combination of absolute stunning beauty and grotesque, horrible, horrible, violence as well»
Sam Crane in Grand Theft Hamlet