Recensione "Generazione Romantica": TELEFONAMI TRA VENT’ANNI
«Telefona tra vent’anni
Io adesso non so cosa dirti
Ah, non so risponderti
E non ho voglia di capirti
Invece pensami, tra vent'anni pensami...»
Perché guardando un film che racconta i rapidi cambiamenti politico-sociali della Cina io canticchio fra me e me Lucio Dalla?
Perché non siamo una tabula rasa. Ci approcciamo alle cose con una certa esperienza pregressa e forse io, al contrario di Giorgio Gaber, più passa il tempo più mi sento italiana («per fortuna o purtroppo lo sono»). Così, guardo un film sulla Cina (perché è questo che Generazione Romantica è, come spiegherò meglio tra qualche riga) rapportandola all’Italia. Sarò mica anche io caduta nella trappola dell’orientalismo di cui parlava Edward Said? In realtà non credo. E poi la sensazione che ho è un po’ opposta: più che una Cina sotto la lente dell’Italia, vedo un’Italia molto influenzata dalla Cina (in un certo senso letteralmente, col Covid-19, perdonatemi questo bieco gioco di parole), con TikTok e con una corsa al progresso tecnologico in cui lei è in pole position (da quest’anno è stata introdotta nelle scuole l’intelligenza artificiale come materia obbligatoria dai 6 anni in su) e in cui noi arranchiamo, ma che disperatamente proviamo a inseguire.
La ““trama””
«Con un salto siamo nel duemila»: i vent’anni filmati da Jia Zhangke seguono senza soluzione di continuità i vent’anni cantati da Dalla, dal 2001 a oggi.
La trama è semplice e si sviluppa in tre atti collocati in tre diverse sequenze temporali (2001, 2006, 2022): la storia d’amore tra Qiao Qiao e Guao Bin si interrompe bruscamente quando lui decide di partire in cerca di fortuna. Lei, abbandonata, va alla sua ricerca.
Solitamente per raccontare un luogo o un determinato periodo storico questi sono lasciati come sfondo della vicenda personale e privata dei personaggi. Seguendo una storia (d’amore, di vendetta, di formazione) cogliamo anche qualcosa del contesto in cui questa è ambientata. Quindi, per esempio, guardando Il laureato vediamo di fatto la storia dell’invaghimento di Benjamin per Mrs Robinson, ma cogliamo anche delle sfaccettature dell’America di quegli anni (credo che non mi toglierò mai dalla testa una delle battute iniziali del film: «il futuro è la plastica»), e lo stesso avviene con Easy Rider e via dicendo.
Ecco, in Generazione Romantica i rapporti si invertono: è la Cina la protagonista. L’infelice storia d’amore di Qiao Qiao e Guao Bin risulta marginale, e per quanto il tempo e la geografia mutino seguendola, questa resta sempre sullo sfondo. Le piccole storie private sono sormontate dai grandi eventi storici: l’ingresso della Cina nell’OMC, la costruzione della diga delle Tre Gole (già presente in un precedente film del regista, Still Life, in cui mostra come la costruzione della diga comporti la demolizione della città di Fengjie), le Olimpiadi di Pechino del 2008 (per le quali – per restare in tema – il Coni ha chiesto a Lucio Dalla di scrivere e cantare l’inno), infine il Covid-19.
La tecnologia dell’avvenire
Si nota una netta differenza tra i primi due atti e il terzo, ovvero tra il pre e il post pandemia, che coincide anche con il pre e post tecnologia. C’è innanzitutto uno scarto visivo (l’uso del found footage comporta riprese dalla risoluzione più bassa), accompagnato anche da uno scarto uditivo che va a connotarsi come assenza: nel presente non si canta più.
Le prime due sequenze temporali del film potrebbero fare concorrenza a un musical per il minutaggio di cantato presente. L’apertura stessa vede un gruppo di donne che canta assieme. Ma nel presente dominato dalla tecnologia la dimensione corale (nella sua duplice accezione di “gruppo” e di “cantato”) sembra essere venuta meno.
Come ha osservato il regista, «durante la pandemia tutto si era fermato, a parte la tecnologia, che continuava a svilupparsi e progredire».
Questo progresso non è presentato nell’ottica del “si stava meglio quando si stava peggio”; non c’è ombra di quel romanticismo che sembrerebbe suggerire la traduzione italiana del titolo. Nessun rimpianto, nessuna nostalgia.
Qiao Qiao rivede l’uomo che aveva amato (quanto sono emozionanti, nel cinema, gli incontri casuali, dopo anni, tra amanti di vecchia data? Solitamente uno dei due vede l’altro un po’ prima, poi segue l’incrocio di sguardi, e una mutata espressione sul viso che indica che si sono riconosciuti. Mi sono emozionata, in questo semplice incontro a una cassa di un supermercato con le mascherine sul volto, tanto quanto in Il portiere di notte quando Lucia vede Maximilian che le porge le chiavi della camera, o nello straziante finale di La La Land, quando Sebastian, dal palco, individua il volto di Mia tra i tanti del pubblico). Ma non c’è nessun sentimentalismo. Non c’è neanche niente da dirsi. «Se telefoni tra vent’anni butta i numeri fra le stelle». Un po’ di tenerezza sì, un gesto di cura nel legare una scarpa slacciata. Ma nessun indugio. Nell’unica scena collettiva di questo terzo atto, Qiao Qiao si lascia alle spalle il passato e corre, verso l’avvenire. Proprio come sta facendo il suo Paese.