Un musical su un narcotrafficante messicano che vuole diventare donna?
Questa bizzarra premessa trova forma nel nuovo film di Jacques Audiard.
Rita (Zoe Saldaña) è un’avvocata preparata, piena di valori e aspirazioni ma sottopagata e all’ombra di un collega uomo che nemmeno riesce a ricordare l’arringa che lei scrive per lui. Dopo aver vinto un caso che le poneva un dilemma morale — la difesa di un uomo importante accusato dell’omicidio della moglie e che lei contribuisce a far passare per un suicidio — riceve una chiamata anonima che la ingolosisce con una misteriosa proposta di lavoro e l’allettante promessa di una ricca ricompensa. Frustrata dalla propria situazione professionale e tentata dalla possibilità di svoltare la propria vita, decide di approfondire. Viene sequestrata e condotta al cospetto di Juan ‘Manitas’ Del Monte (Karla Sofía Gascón), temibile boss di un cartello messicano che le chiede aiuto per sottoporsi segretamente ad un intervento di riassegnazione del genere. Rita accetta e si impegna a trovare il chirurgo disposto a compiere l’intervento e a mettere al sicuro con un trasferimento in Svizzera i figli e la riluttante moglie del boss Jessica (Selena Gomez) così che egli possa inscenare la propria morte e cominciare una nuova vita con il nuovo nome di Emilia Pérez. Quattro anni più tardi però Emilia chiede nuovamente aiuto a Rita per ricongiungersi con i propri figli che torneranno così in Messico credendo di andare a vivere con una lontana e fino a quel momento sconosciuta cugina del padre che si è offerta di aiutarli. Jessica, la moglie di Manitas, accetta il ritorno per potersi riunire ad un amante segreto avuto durante gli ultimi anni di matrimonio…
Intrighi, colpi di scena, identità segrete, amanti, indagini, passione, violenza, giustizia, riscatto. Così come narra di un cambio di genere, non a caso il film gioca con i generi cinematografici mescolando thriller, dramma, melodramma, dramma legale e musical, rifuggendo una facile categorizzazione e inscatolamento in confini prestabiliti. Come la protagonista, il film rivendica il proprio diritto ad autodefinirsi.
Lo fa con una buona dose di umorismo e autoironia anche se non sempre piacevoli, come nel caso della scena in cui un chirurgo di Bangkok e dei pazienti bendati in sedia a rotelle cantano in maniera quasi infantile dei vari tipi di operazioni previsti per la riassegnazione di genere.
Citando un topos comune ai thriller e ai film di mistero — tagli di luce che filtrano attraverso le veneziane, volto completamente bendato salvo gli occhi, personaggio che studia le sue nuove fattezze attraverso uno specchietto —, il film mostra sinteticamente il dolore fisico della transizione ma sceglie di concentrarsi, in maniera commovente, sulla positività e l’energia che scaturiscono da questo cambiamento. Come sottolinea Rita al chirurgo che compierà l’operazione: ‘Cambiare il corpo cambia la società. Cambiare la società cambia l’anima. Cambiare l’anima cambia la società. Cambiare la società cambia tutto’. Juan vuole ardentemente diventare la donna che sa già di essere dentro di sé ed Emilia è raggiante e vitale perché frutto di questo desiderio intenso, perché sa che ne è valsa la pena di affrontare tutto quel dolore per poter essere veramente se stessa. Questo le permetterà di rinascere, di ritrovare l’amore e di aiutare il prossimo, creando insieme a Rita una organizzazione no-profit per l’identificazione delle vittime dei cartelli, senza però dimenticare il passato violento sempre in agguato sullo sfondo. Karla Sofía Gascón è un piacere da guardar recitare perché affronta con una naturalezza e intensità disarmanti il doppio ruolo di Juan/Emilia, adattandosi alle sfumature e alle svolte prese dal film.
‘Emilia Pérez’ è anche un musical, genere che lo stesso regista Jacques Audiard confessa di non amare. I momenti musicali sono a volte dialoghi e a volte flussi di coscienza dei personaggi che possono così esprimere i propri pensieri ad alta voce. Non vi sono brani memorabili ma è interessante notare come molti comincino quasi in sordina, insinuandosi a poco a poco nelle orecchie di chi guarda, sfruttando rumori, suoni diegetici e il ritmo delle parole che quasi senza il tempo di accorgersene diventano musica. Così come il personaggio di Emilia prende gradualmente corpo dal sogno privato di Juan, così il suo canto inizia come un sussurro che poi acquista voce e melodia. Si sviluppano seguendo questa modalità e raggiungendo un forte impatto emotivo il primo dialogo tra Emilia e Rita dopo l’operazione — tutte le luci del ristorante si spengono isolando in una pozza di luce le due donne, un istante improvvisamente intimo in cui Emilia può descrivere in poche parole la contentezza di aver cambiato corpo e pelle, di essere finalmente se stessa — e il dialogo tra Emilia e sua figlia prima di metterla a letto — la bambina le confessa che il suo profumo le ricorda quello del padre che non c’è più.
Sono invece prorompenti, dei fulmini a ciel sereno, i brani di denuncia di Rita nei confronti di potenti criminali, rispecchiando la natura del suo personaggio che ha un fuoco che le arde dentro e qualcosa che vorrebbe dire ad alta voce, gridare. Basti pensare al brano ‘El Mal’ in cui, aggirandosi tra i tavoli di una serata di gala per raccogliere fondi a favore dell’organizzazione no-profit, Rita elenca e rivela crimini e colpe dei ricchi invitati che però contribuiranno ad una giusta causa con il loro denaro sporco (riproponendo il tema machiavellico de ‘il fine giustifica i mezzi’ presente nel film). La performance è coreografata e fotografata con grande virtuosismo e maestria, ciliegina sulla notevole prova attoriale di Zoe Saldaña che infonde vita al suo personaggio, comunicandone tutta la frustrazione, voglia di riscatto e grande cuore in unico sguardo.
‘Emilia Pérez’ non è per tutti. Racchiude molto, forse non rende giustizia a tutto, sicuramente ha qualcosa per ognuno. Non commuove forse fino in fondo e risulta a tratti irreale. Allo stesso tempo tutte le sue peculiarità, storture e forzature sono una precisa dichiarazione d’intenti.