Dracula - Recensione: Il rosso e il nero
When Love and Death Embrace, cantano gli HIM, descrivendo perfettamente il terreno di gioco delle creature dell’inferno più affascinanti e glorificate del panorama fantasy: i vampiri.
Il quadro che l’immaginario collettivo ne dipinge gioca sui toni del rosso e del nero: amore e morte, eros e peccato, seduzione e oscurità. Ad ogni autore che porta un suo contributo a questo dipinto viene data la libertà di scegliere la tavolozza e se il Nosferatu di Robert Eggers è il prodotto di una palette di toni scuri, le pennellate di Luc Besson sono del più vivo rosso sangue.
Tra il pericolo del “già visto” e l’inevitabile confronto che avrebbe potuto portare a decretare un vincitore e un perdente, il rischio che è stato corso facendo uscire due differenti rivisitazioni del Dracula di Bram Stoker a distanza così ravvicinata era alto. Eppure, nonostante la storia che giace alla base di entrambe le pellicole sia la stessa, le differenze tra le due interpretazioni le rendono complementari, trasformando il confronto da arma capace di far risaltare l’una o l’altra a lente attraverso la quale cogliere ancora più sfumature.
La più sostanziale differenza è che, mentre l’animo di Nosferatu era profondamente gotico, l’ultimo film di Besson tende verso il barocco, con accenti da opera rock. Se la forza capace di dare vita al vampiro per Eggers è oscura e demoniaca, in Dracula: A Love Tale è proprio l’amore a farsi principio sovversivo, capace di ribaltare l’ordine delle cose. Il Dracula che ci viene rappresentato, infatti, intraprende una battaglia contro Dio e contro la morte dopo la perdita dell’amata, promettendo di cercarla per l’eternità. In questo modo, il legame che unisce il vampiro e la ragazza passa dall’essere un torbido patto demoniaco intriso di desiderio ad una struggente ricerca guidata dal più nobile dei sentimenti.
Il desiderio rimane comunque una tematica centrale anche nel film di Besson. Ma dall’essere descritto come un morbo da sconfiggere, capace di portare chi ne è afflitto sul baratro della follia, ne viene esplorato soprattutto l’aspetto più tangibile e istintivo, ponendo enfasi sul processo di “vampirizzazione” intrinsecamente carnale del morso. Maria, il personaggio di Matilda De Angelis, è la personificazione di questa connotazione sensuale e irriverente, che si perde nel personaggio di Elisabetta per lasciare spazio ad un desiderio più puro che non è altro che la naturale continuazione dell’amore.
L’amore, a sua volta, la cui sacralità viene celebrata per tutta la durata della pellicola, viene posto su un piano così alto da sostituirsi all’autorità divina. La lotta che ritroviamo non è quindi più fra bene e male, fra Paradiso e Inferno ma fra due poteri equivalentemente sacri. Il conte Dracula si trasforma da servo di Dio a servo dell’Amore, rinunciando alla morte nell’attesa della reincarnazione di Elisabetta. Da creatura infernale, demone in umana forma, il vampiro che incontriamo è soprattutto umano, il che ci porta facilmente a schierarci dalla parte del conte Vlad. A favore di questo, giocano anche diversi stratagemmi che addolciscono i connotati tipici del folklore: le trasformazioni sono reversibili (alla morte del vampiro, tutte le succubi ritornano umane), il sangue umano non è necessario alla sopravvivenza del vampiro (e quindi, Dracula non ha bisogno di uccidere per nutrirsi).
L’umanità del protagonista si ritrova anche nei dialoghi: se in Nosferatu il sussurro rantolante della creatura serpeggiava fra i pochi cupi discorsi dei personaggi, in Dracula: A Love Tale tra le battute si nasconde un certo umorismo, con personaggi come quello di Jonathan Harker che servono da veri e propri comic relief. Alcune trovate, forse, scadono un po’nel grottesco (come la tarantiniana esecuzione di Maria), ma l’equilibrio tra leggero e struggente, commedia e tragedia è sempre ben preservato. Questo è reso possibile anche dalle ambientazioni, in cui il cupo castello del conte Vlad si intervalla a ricordi in technicolor e da buie stanze di ospedale si passa a corse sfrenate in un Luna Park à la Baz Luhrmann.
Per concludere con l’ultimo parallelismo, nella scena finale di entrambi i film ritroviamo la creatura e l’oggetto del suo desiderio (ricordiamo: di natura ben diversa) che vengono colti dalla luce del sole. Ma mentre in Nosferatu la luce agisce da arma per combattere il peccato, in Dracula è uno strumento assolutorio, portatore di redenzione. Together in Death, cantano gli HIM, ma mentre Ellen e il conte Orlok condividono l’ultimo respiro, Vlad ed Elisabetta scelgono la separazione, sicuri di ritrovarsi nell’oltretomba guidati dal loro amore eterno.
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