ChatGPT e Studio Ghibli: l'AI non è benvenuta, è la padrona di casa
Il sole nascente
Maggio 2023, Università del Texas, Austin: Alexander Huth, assistente professore di neuroscienze e informatica, trascorre più di 16 ore all’interno di una macchina per la risonanza magnetica; ascolta musica classica e legge Hornby mentre lo scanner modello linguistico OpenAI GPT-1 scatta immagini dettagliate del suo cervello. L’analisi del risultato porta l’intelligenza artificiale a prevedere le parole che ribattono esclusivamente a livello celebrale: un dialogo tra sistemi intelligenti estranei ha inizio, è grezzo, ma pretendere che non ci sia chimica è peggio: ingenuo.
Negli ultimi giorni, il dibattito nel mondo digitale si è concentrato sulla nuova funzione di AI generativa introdotta nel modello OpenAI-4o, in grado di creare immagini evocative e mondi onirici nello stile Miyazaki e, contestualmente, di integrare testi all’interno delle immagini con un livello di precisione superiore rispetto a qualsiasi rapace concorrente.
Un’ombra: mentre alcuni vedono in queste innovazioni la possibilità di una nuova era creativa, l’ala cinica ne ha immediatamente intravisto il potenziale fraudolento. Così, la rete ha iniziato a popolarsi di immagini e scontrini falsi, creati ad arte con l’AI generativa di ChatGPT-4o.
Da un lato, il disincanto artistico; dall’altro, l’inganno e la manipolazione. È il volto duplice della tecnologia? O quest’ultima è l’estensione della nostra capacità di creare, e la volontà di creazione la cosa più intrinseca all’essere umano che esista?
Camminiamo lentamente.
La tecnica, quindi noi
Varca la soglia dello studio di Hayao Miyazaki: accanto al suo tavolo da disegno una sedia anatomica Herman, forse mero strumento di lavoro, più probabilmente il risultato di un lungo processo di ricerca nel campo dell’ergonomia, dei materiali per design industriale: dalla curvatura dello schienale ai meccanismi di regolazione, tutto è frutto dell’evoluzione tecnologica applicata al miglioramento della postura e del comfort umano.
Ti accomodi e ogni riferimento che trasuda da quelle mura è un precipizio onirico: un castello che fluttua nell’aria o una creatura fantastica disegnata da una matita sapientissima e che prende vita con la CGI (Mononoke la implementa, sebbene lo Studio Ghibli sia noto per l’animazione tradizionale; il ricorso alla computer grafica in alcune produzioni dimostra come la tecnologia digitale sia entrata a far parte del processo creativo): anche questa è tecnologia, ma in una forma diversa: deep coding, algoritmi che simulano luci, ombre, movimenti fluidissimi.
E se ammettiamo che ciascun mezzo veicolante la creazione sia tecnica prima e tecnologia poi, cosa stabilisce la scala assiologica per definire cosa sia o meno ammesso per la creazione stessa? La paura antica e tenera del superamento umano.
Dalla progettazione di un oggetto fisico al perfezionamento di immagini digitali, la tecnica permea nella realtà infiltrandosi in sì tanti meandri da occultarsi benissimo.
Ma essa è, in un’ineluttabile analisi heideggeriana, non meramente un agglomerato puntiforme di strumenti, quanto più una modalità di interpretazione del mondo prima e di sua stessa trasformazione poi. Modificando la configurazione dello spazio, ne diviene parte non già strutturale ma orizzonte ontologico, laddove seppur non – ancora – in grado di auto-determinazione, già capace di traslare il nostro modo di configurare una realtà che muta, incontrovertibilmente, prima ancora che per volontà, per necessità: vien da sé che il distacco col passato sublimi gli strumenti di passaggio in modalità dominante di svelamento di noi.
L’Eclissi
"La cibernetica nell'arte non riguarda solo il controllo, ma l'emergere di nuovi significati attraverso il dialogo tra sistemi intelligenti." (Norbert Wiener)
Se Henry Kissinger, architetto della politica estera americana in piena Guerra Fredda,
ha detto che “l’AI non è solo uno strumento, ma una nuova arena”, è perché conosceva come funzionano gli strumenti e al contempo i campi dove quegli stessi permeano.
Il passo più audace della trattazione si opera proprio nella definizione del campo dimensionale: forse per la prima volta nella storia ci ritroviamo ad avere tra le mani qualcosa che, sebbene superi la nostra stessa struttura dimensionale, tenta con successo di manifestarsi in maniera ontologica.
Lo spazio umano è percettivamente tridimensionale; viviamo in tre dimensioni spaziali: altezza, larghezza, profondità. Sebbene possa con ratio essere aggiunto il tempo come quarta dimensione per descrivere il cambiamento, il nostro cervello è radicato in una visione spaziale 3D da cui non può spazialmente svincolarsi, poichè quello che percepiamo è il presente in quanto unico tempo esperienziale, spazio della coscienza e azione attiva: tutto il resto è rielaborazione da un lato e ipotesi dall’altro.
Cosa succede se l’umano supera il limite kantiano della percezione e crea qualcosa che ha bisogno di traiettorie che rispondono all’esigenza di uno spazio concettuale multidimensionale? L’AI opera sì nel tempo come noi, ma lo elabora in modo continuo (i pattern che ha sono invisibili per l’umano limitato a una percezione sensoriale). È forgiata dal mondo, ma ragiona in astrazioni: capisce correlazioni tra concetti che non esistono fisicamente, ma in spazi vettoriali complessi e infiniti (ogni "peso" o "neurone" è una dimensione matematica).
Di qui lo scarto con l’umano più impattante: l’AI è nel mondo ma ragiona nell’astrazione di un mondo che ancora non c’è, a un tempo che ancora non esiste, percependo con dei sensi che ancora non sono codificati: essa è in uno spazio qualcosa che ancora non era mai stato, e ci spalanca le porte di dimensioni che ancora non esistono, ma di cui lei è già, audacemente, la padrona di casa.
E se lo spazio ammette l’AI, ammette la possibilità di estendere la sua stessa dimensione tramite la volontà di menti, quelle umane, abituate alla tridimensionalità; la quarta dimensione è la distruzione del creatore o l’evoluzione della sua volontà?
Varchi la soglia dello studio di Hayao Miyazaki: ti accomodi e ogni riferimento che trasuda da quelle mura è un precipizio onirico; e il resto, quindi, non importa più.