Bugonia - Recensione: Where has everyone gone?

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Siamo in un’ambientazione indefinita e un po’ apocalittica – per certi versi simile all’America che abbiamo da poco visto in Una battaglia dopo l’altra, ma più vuota – che fa da specchio a un profondo spaesamento ideologico; potrebbe essere quella di un futuro molto prossimo, ma è forse più vicina al nostro presente. 

Ci sono due uomini, molto soli e piuttosto ignoranti, che ci accompagneranno per tutto il film. Il primo, Teddy Gatz, è un convinto seguace di teorie del complotto che spopolano sul web, secondo cui alcuni potenti della Terra sarebbero in realtà alieni approdati sul nostro pianeta per distruggere l’umanità; il secondo è suo cugino Don (un bravissimo Aidan Delbis), che per buona parte del film è estremamente influenzabile e superfluo, finché non si rivela il più lucido della coppia – per lo meno sulla propria disperazione. Michelle Fuller (Emma Stone) è l’amministratrice delegata di una multinazionale farmaceutica, e – almeno nelle primissime scene – un’aliena la sembra veramente. 

Teddy coinvolge Don nel progetto di rapirla: inizia una preparazione grottesca e in qualche modo comica, così come sarà comico il rapimento in sé

C’è un evidente filo conduttore, in Bugonia, ovvero il non-senso, che riconsidera e smentisce il principio di non contraddizione che per lungo tempo ci ha permesso non dico di non sentirci spaesati nel mondo e nella vita, ma almeno di avere lenti più o meno a fuoco tramite cui guardarci attorno. Jesse Plemons, nelle vesti di Teddy (cioè, uno degli unici tre personaggi che incontriamo, con pochissime eccezioni), in un punto cruciale del film dice a Michelle Fuller, Emma Stone: «ho esplorato tutto l’apparato digerente: destra, estrema destra, centro, marxismo». Potrebbe essere una buona sintesi dell’opera, così come dei nostri tempi. 

Tradotta sullo schermo nella vivida fotografia di Lanthimos, questa perenne contraddizione assume i contorni di una storia molto semplice – chi non l’abbia visto potrebbe anche dire, conoscendo il finale, che quest’ultimo sia terribilmente scontato – ma estremamente realista: tra la scena di inizio e la scena finale (che sono poi la stessa), succedono molte cose, il film cambia direzione e ritmo, ma a cambiare è soprattutto lo spettatore. O, se vogliamo, tutto cambia e niente cambia.

In un mondo senza più parvenza di verità né futuro, è logico che nessuno sia chi sembra essere. Teddy e Don forse non sono scemi come appaiono all’inizio, o almeno non sono solo quello; Michelle, che inizialmente appare brillante ma forzatamente statica, è in realtà capace di incarnare ruoli diversissimi. Da spettatore, ti chiedi continuamente chi sia in realtà. È lei, in fin dei conti, la manipolatrice per eccellenza: da rapita diventa carnefice, facendo leva sul potere delle proprie parole. 

È anche questo, come più che consueto nell’opera di Lanthimos (soprattutto quella più acerba, si veda per esempio Kinetta, cortometraggio interamente costruito sulla finzione ossessiva di un’aggressione), un gioco di Potere. In definitiva, non ci si può fidare di nessuno: non ci possiamo fidare noi di Michelle, né la madre di Teddy del figlio; lo sceriffo (una delle sporadiche apparizioni extra-trio) non può fidarsi di Teddy, come Teddy non ha potuto vent’anni prima fidarsi di lui. Una delle caratteristiche più belle (e rare) di Lanthimos è che non cade nel didascalico: parla di Potere, ma non ti dice mai da che parte stare. Anzi, spesso – sembra dirti – è curioso stare dalla parte dell’ossessione e del controllo: dalla parte dei carnefici. Specie quando quell’ossessione e quel controllo rimangono l’unico barlume di speranza, l’unica promessa di un altrove.

Rispetto ad altri film del regista greco, Bugonia è meno terrificante da vedere – ma lo è da sentire. A giocare un ruolo fondamentale è spesso il ritmo, sia in termini di fotografia che in termini di musica, abilmente costruite l’una con l’altra. Tutto è ritmo: lo è l’ape che impollina i fiori all’inizio, lo è la preparazione fisica dei due protagonisti in vista del rapimento, la crescente manipolazione di Teddy nei confronti di Don ma soprattutto quella di Michelle verso i suoi rapitori; lo è la canzone dei titoli di coda (Where Have all the Flowers gone?), che ci ricorda uno dei leitmotiv dell’opera, ossia il rapporto con la nostra Terra e il disfacimento di cui siamo responsabili. (Da qui il titolo, Bugonia, che fa riferimento a un episodio delle Georgiche di Virgilio in cui uno sciame d’api nasce spontaneamente dalla carcassa di un animale morto). 

Quello dell’ecologia, coerentemente alla costruzione dell’intera storia, è un tema che funge da pretesto. O meglio: è un tema in sé, ma segue la stessa linea di sviluppo di qualunque altro argomento si voglia scorgere all’interno dell’opera, in una ritmica coincidenza tra realtà e fantasia, lucidità e complotto, onestà e manipolazione. E alla fine sarà lo spettatore a scegliere – più o meno consapevolmente – quale verità voglia vederci. Un po’ come Teddy.