Bird: tra working class e britpop
C’era una volta il britpop e due band che continuavano a battagliarsi chiamate “Blur” e “Oasis”, entrambe rappresentavano perfettamente la Gran Bretagna degli anni Novanta, ma se i primi vennero accusati di essere fintamente vicini alla working class inglese, i secondi avevano davvero un passato da operai.
Su chi abbia vinto quella battaglia la risposta la lascio alle opinioni personali, anche se la mia preferenza cade sui Blur; e proprio la loro canzone “The Universal”, fa da tema musicale ricorrente in Bird.
Ma alla fine, rispetto alla “sdolcinatezza” con cui viene tacciata la canzone del gruppo di Damon Albarn nel film, che viene anche definita “musica da papà” insieme a Lucky Man dei The Verve, Bird preferisce concentrarsi sul mondo del proletariato.
La protagonista Bailey e suo padre sfrecciano con un monopattino elettrico solcando un paesaggio fatto di periferie abbandonate, bambini dal futuro più che incerto e case popolari.
Barry Keoghan nella sua interpretazione del padre dimostra nuovamente di essere un attore riscoperto fin troppo tardi dal mercato cinematografico; e come ogni altro genitore del film incarna una genitorialità che si impone troppo presto alla giovinezza, una maturità mai raggiunta perché si è ancora troppo immersi nelle sregolatezze di una gioventù allo sbando che fu.
Lo stesso destino, quasi come fosse un’eredità, passa di padre in figlio, ma solo al figlio maschio, alla figlia femmina Bailey va diversamente, probabilmente anche per la sua inevitabile predestinazione ad essere donna.
E così viene espresso il rapporto conflittuale con la femminilità, il desiderio di non conformarvici mentre ne si è attratte, manifestato dalle spesse linee di eyeliner che Bailey traccia sui suoi occhi per provare a nascondere il suo sguardo incerto e spaventato per il futuro, che arriva inesorabile insieme alle mestruazioni e ad i primi amori.
Il caos che si respira in ogni ambiente frequentato da Bailey viene inquadrato con una macchina a spalla in continuo movimento, frenetica mentre corre insieme a Bailey.
Mentre la continua mancanza di certezze appare nell’imprevedibilità della scelta di girare in pellicola, improvvisamente colta da graffi o bordi rovinati che rendono ancor più grezzo l’aspetto finale del film.
“The great Escape” si chiama l’album dei Blur in cui è presente The Universal, “la grande fuga” che Bailey desidera compiere dal mondo che la circonda, fatto da muri mai privi di graffiti e un rumore continuo e assordante. Ma in qualche piccolo momento Bailey sembra riuscire a distaccarvisi, ottenendo rari momenti di silenzio in scene come quella dell’uscita di famiglia al mare.
Tutto ciò le è permesso dal titolare personaggio “Bird”, simbolo dell’adulto infantilismo che colpisce ogni personaggio del film e deus ex machina nella storia di Bailey, così come ogni altro volatile incontrato dalla ragazza.
C’è da dire che a volte le metafore sono un po’ troppo palesi.
Nella primissima inquadratura del film, infatti, vediamo Bailey filmare con il telefono attraverso una grata il volo degli uccelli nel cielo azzurro, un chiarissimo rimando alla libertà ingabbiata continuamente vissuta dalla ragazza e ribadita dalla ridondante presenza di scene molto simili disseminate nel film.
Ma Bird ci fa porre anche un quesito importante, quando lo si mette in relazione a lavori recenti come Anora di Sean Baker o la nuova fama che sta ricevendo in alcune nicchie di cinefili la filmografia di Aki Karusimaki ,ovvero: il proletariato sta vivendo una rinascita cinematografica?
Probabilmente sì, e il rischio di tutto ciò è una romanticizzatine artistica delle vite dei meno abbienti, cosa in cui forse questo Bird rischia di sconfinare, ma anche questa volta la risposta la lascio a voi.
E per finire voglio tornare proprio al britpop, nel suo citazionismo da prodotto della modernità, e nel suo sporadico vacillare, forse in realtà questo Bird di Andrea Arndol è in realtà più simile agli attualissimi Fontain D.C, di cui la canzone “Too Real” fa proprio da apertura al film.
Bird non è certamente privo di difetti, ma non si può non sorridere nel vedere un gruppo di uomini cantare a squarciagola Yellow ad un rospo che secerne bava dalle proprietà allucinogene, o una giovane ragazza ballare allegramente con la sua prima cotta nonostante la sua infanzia completamente sregolata.
Finiamo per pensare “Andrà tutto bene” come dice Bird alla fine del film, o come dicono i Blur:
It really, really, really could happen
Yes it really, really, really could happen
When the days they seem to fall through you
Well just let them go!
No one here is alone
Satellites in every home
Yes the universal's here
Here for everyone