After The Hunt - Recensione: è giusto o è corretto?
Una generazione possessiva verso il proprio dolore si scontra contro la precedente, possessiva verso le sbarre di silenzio che hanno imprigionato proprio quel dolore.
La luce, nel nuovo avvincente thriller psicologico diretto da Luca Guadagnino, è solo funzione del buio, mero strumento per proiettare le ombre che si sbracciano inascoltate nelle vite di ognuno.
Tra conversazioni filosofiche su moralità e sottomissione e grazie a un cast da capogiro, Dopo la caccia impone una riflessione sul privilegio, il potere e il gap intergenerazionale.
Alma (Julia Roberts), professoressa a Yale, si contende la cattedra di Filosofia con Hank (Andrew Garfield). Che Julia Roberts si muovesse completamente a suo agio nei panni di una docente universitaria era già chiaro dai tempi di Mona Lisa Smile (2003), e in questa nuova interpretazione non fa che riconfermarsi una delle attrici più devote alla propria arte.
La relativa quiete di un ambiente accademico fortemente competitivo viene rotta quando la dottoranda Maggie (Ayo Edebiri), protetta di Alma, riferisce di aver subito una violenza sessuale da parte di Hank.
La triangolazione che si era delineata in Challengers (2024) viene a ricrearsi, ma questa volta i tre vertici si configurano come tre diversi livelli di privilegio.
Da un lato abbiamo Hank, un uomo bianco benvoluto da tutti, espansivo e quasi istrionico, inserito in un contesto lavorativo che da secoli privilegia la sua categoria, e che tuttavia si sente minacciato dall’odierno politically correct. Eppure la geometria delle inquadrature evidenzia spesso che, nonostante l’apparente clima di correttezza, all’uomo spetta un gradino fisicamente più in alto della donna.
Abbiamo poi Alma, una donna bianca, cordiale e contenuta nei modi, che è riuscita a conquistarsi una posizione lavorativa importante in un ambiente ancora oggi maschilista e fortemente contaminato dal peso della tradizione. Suo marito, a cui Michael Stuhlbarg dà un volto e un corpo pienamente adeguati, aggiunge un elemento di tensione a una situazione già parecchio intricata, e conferisce una sfaccettatura in più al personaggio della moglie.
Per ultimo c’è Maggie, una ragazza nera, innegabilmente parte di una minoranza nel suo campus ma anche ridicolmente ricca: figlia di un miliardario donatore alla Yale, Maggie ha i mezzi economici per far fronte a qualunque ingiustizia possa capitarle.
La ricchezza economica di una persona pur svantaggiata per genere e colore della pelle è qui l’elemento che, per primo, incrina le certezze dello spettatore.
La battaglia che Maggie porta avanti contro Hank, infatti, solleva degli interrogativi: è davvero una caccia contro di lui, o è piuttosto il pretesto per ottenere una vendetta verso un sistema oppressivo e patriarcale che ha sempre danneggiato e silenziato le donne? Non è forse una battaglia condotta proprio perché può essere condotta, fine a sé stessa?
Maggie lotta per la giustizia o piuttosto per la correttezza?
Sicuramente fa parte di una generazione radicalmente diversa da quella della sua mentore in quanto all’attenzione verso i diritti, il consenso e la correttezza, anche se spesso solo di forma e di circostanza.
La quasi perenne penombra, che caratterizza gran parte del film, è esemplificativa di quanto poco chiare le situazioni possano diventare quando ci sono di mezzo degli interessi personali. Lo spettatore, tramite le inquadrature soggettive, viene interpellato in qualità di arbitro esterno a identificare il narratore inaffidabile, ma la sceneggiatura ricca di dialoghi non fa altro che metterci in crisi e disorientarci, frantumando i nostri giudizi battuta dopo battuta. Dove sta la verità, ammesso che esista?
La palette di colori chiari e neutri con cui Alma si presenta al mondo riflette fedelmente la condizione di appiattimento e anonimato che ha dovuto accettare per essere dove si trova. La rendono quasi una tela bianca, su cui gli studenti più devoti possono proiettare tutta la loro adorazione.
Quando, però, il ritaglio di un giornale in tedesco viene a galla, le maschere crollano definitivamente…
Dopo la caccia si dimostra capace di parlare davvero a tutte le generazioni, anche di farle dialogare tra loro, e riesce a non soccombere sotto al peso di un cast ultra promettente: tutti dimostrano talento e un’autentica credibilità.
Sul tavolo ci sono l’ambizione sfrenata, l’ammirazione, forse l’amore, e sicuramente delle questioni filosofiche già complesse che oggi si evolvono in nuove configurazioni, sempre più delicate.
Il film si dimostra quindi pienamente all’altezza delle aspettative che, ormai, accompagnano ogni novità di Guadagnino, il quale a questo punto ha esplorato la tematica del desiderio e della sessualità in tutte le loro possibili declinazioni: non possiamo fare altro che attendere il suo prossimo progetto con ancora più curiosità.
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