A Real Pain - La legittimità del dolore

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Aeroporto internazionale JFK di New York; valigie e persone in transito; brandelli di conversazioni. La macchina da presa scorre a lato delle file di passeggeri seduti in attesa di un volo, poi inizia a ruotare e a stringere lentamente fino al mezzo primo piano di Benji (Kieran Culkin) che osserva silenziosamente e curiosamente quello che gli succede intorno. Nel frattempo suo cugino David (Jesse Eisenberg), da un taxi in direzione aeroporto, gli lascia una serie di messaggi vocali sempre più esilaranti e pieni di apprensione, suggerendo modi per evitare il traffico e chiedendosi come mai lui non gli risponda. Con sua grande sorpresa David trova Benji ad aspettarlo in aeroporto dove ha trascorso la notte senza che il pensiero di avvertirlo gli sia minimamente passato per la testa. Già da questa presentazione intuiamo molto della natura dei due personaggi, a testimonianza della precisione e autenticità della scrittura di Jesse Eisenberg, qui nella triplice veste di sceneggiatore, regista e attore.


A Real Pain racconta di due cugini ebrei statunitensi, molto vicini, legati da giovani e più distanti da grandi, che intraprendono un tour del patrimonio ebraico attraverso la Polonia con l’obiettivo di raggiungere la casa in cui era cresciuta la nonna sopravvissuta all’Olocausto. Benji è un girovago che vive alla giornata, viene da un periodo difficile, manifesta apertamente le proprie emozioni e parla senza peli sulla lingua. Se da un lato la sua emotività è sintomo di un tormento più profondo e la sua schiettezza rischia di irritare alcune persone, dall’altro queste qualità diventano un dono che gli permette di leggere gli altri con rapidità e lucidità ed instaurare contatti meno superficiali e più autentici. David conduce invece una vita inquadrata e regolare, ed è più riservato e distaccato: prende pillole per il suo disturbo ossessivo compulsivo, crea banners online (poco apprezzati da tutti, come gli fa notare Benji) e dedica amore e attenzione alla moglie e al figlio appassionato di edifici e grattacieli. Il controllo apparente che David riesce ad esercitare sulla propria vita nasconde una grande sensibilità anestetizzata con il tempo e la paura di lasciarsi andare.


David e Benji si inseriscono a pieno diritto tra le strane coppie del cinema con delle caratteristiche che a tratti ricordano anche le dinamiche tra Roberto e Bruno ne Il Sorpasso di Dino Risi. Il personaggio di Benji, così come quello interpretato da Vittorio Gassman, riesce infatti a intuire ed esprimere quello che gli altri non vedono o scelgono di ignorare, mentre il personaggio di David, così come quello interpretato da Jean-Louis Trintignant, ha bisogno di una piccola spinta per sprigionare tutto quello che si porta dentro. Jesse Eisenberg era proprio partito con l’intento di scrivere un buddy/road movie su due amici ma si era poi bloccato sentendo che alla sua idea mancava qualcosa. Quando si imbatté in un annuncio online che recitava ‘Tour di Auschwitz (pranzo incluso)’, riuscì a trovare l’ispirazione e proprio su questa assurda combinazione di quattro parole decise di ambientare la storia durante un tour in Polonia con visita al quasi intatto campo di concentramento di Majdanek.

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Ad accompagnare i due cugini Kaplan nel loro viaggio ci sono James (la guida inglese), Mark e Diane (una coppia sposata in pensione), Marcia (una donna benestante con alle spalle un divorzio recente) ed Eloge (un sopravvissuto al genocidio ruandese convertito all’ebraismo), e tutti hanno modo di confrontarsi e mettersi in discussione di fronte alla disarmante sincerità di Benji, traendo dalle sue parole importanti spunti di riflessione. Tutti i personaggi sono immediati, distinti, tridimensionali e credibili. Rispettando la tradizione del genere, la sceneggiatura si concentra maggiormente sul loro sviluppo che sulla trama e vive delle relazioni che si instaurano tra di essi.


A Real Pain è soprattutto una riflessione sul dolore e su come viene affrontato. Benji e David provano entrambi dolore ma ciascuno a modo suo. Tenendo presente che tutti soffrono, David ritiene che non ci sia nulla di speciale nel proprio dolore, e che ci siano momenti adatti e dedicati in cui dargli sfogo. Quando Benji gli ricorda che da piccolo era molto più sensibile e piangeva in continuazione, lui risponde dicendo che era terribile e che nessuno vuole piangere tutto il tempo, e così crescendo ha trovato dei meccanismi per tenere sotto controllo e regolare le proprie emozioni. David fatica a riconoscere la valenza del dolore che possono provare lui e Benji, se paragonato con la tragedia dell’Olocausto. Ai suoi occhi la loro sofferenza non può reggere il confronto, e di conseguenza non ha diritto di essere manifestata apertamente. Benji invece lascia il nervo scoperto e conserva una vulnerabilità che lo rende più esposto e fragile ma anche più in contatto con la propria interiorità e quella degli altri. David nutre nei suoi confronti sensazioni contraddittorie: ammirazione per l’energia che sprigiona, imbarazzo per alcuni suoi comportamenti, disprezzo perché si concede di vivere tutto quel dolore ma in fondo anche invidia e frustrazione proprio perché riesce a farlo. Quelli dei cugini sono due approcci diversi: provare tutto fino a quando diventa autodistruzione, oppure preservarsi ma rischiare di essere distaccati? Attraverso il confronto tra di loro, il film ci ricorda che ogni forma di dolore è legittima, che tutti hanno il diritto di provarlo e che come ogni emozione esso va accolto e attraversato per poter andare avanti.


A Real Pain non propone una formula innovativa, ma è una ispirata e sentita storia di amicizia che mescola commedia e dramma a partire da una premessa originale, e viene elevata dalle curate prove attoriali dell'intero cast. In particolare, è memorabile l'interpretazione di Kieran Culkin: le sue espressioni sono intense e sincere, i suoi gesti specifici e naturali. Grazie a lui, il personaggio di Benji trasuda umanità da ogni poro tanto da fare venire voglia di abbracciarlo, perché ricorda a chi guarda un caro amico e allo stesso tempo un po' anche se stesso.