A Different Man - Diverso da chi?

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Più delloro possanza

Sopra gli animi umani ha la bellezza

 

Parafrasando, la bellezza ha ancor più potere della ricchezza sull'animo umano. Così scriveva Giuseppe Parini nell'ode Linnesto del vaiuolo, un componimento poetico in cui invita la popolazione a vaccinarsi per aver salve due cose: la vita e la bellezza.

Come è ben visibile sulla pelle del braccio sinistro di alcune generazioni, il vaiolo è una malattia che lascia cicatrici, soprattutto sul volto. Sono molte le malattie che comportano inestetismi, e questi spesso hanno una ricaduta psicologica ancor più grande di quella data dai rischi per la salute. È il caso della neurofibromatosi di tipo 1, la patologia da cui è affetto Edward, il protagonista di A different man.

 

Interpretato da Sebastian Stan (che per il ruolo ha impugnato un Golden Globe e un Orso d'argento), Edward è un uomo solo, che sogna di fare l’attore ma che non riesce ad accaparrarsi dei ruoli per via del suo volto, deformato dalla crescita di masse tumorali. La sua vita opaca e il suo cuore solitario vengono messi in scompiglio dall’arrivo di una nuova vicina, Ingrid (Renate Reinsve, protagonista dell’acclamato La persona peggiore del mondo, e che in questo film non smentisce la definizione data al ruolo precedentemente interpretato), una drammaturga che sembra guardarlo con occhi diversi da quelli delle altre persone e che ha intenzione di scrivere una pièce in cui il protagonista sarà proprio lui, Edward!

 

E come se questo non bastasse, arriva una novità ancora più grande e stravolgente: un farmaco. Una cura sperimentale che sembra in grado di guarire dalla malattia e restituire – come il vaccino anti-vaiolo – la salute e, soprattutto, la bellezza.

Bellezza che significa accettazione da parte della società, e quindi successo lavorativo, amicizie, amore. Senza di essa tutto questo sembra impossibile da ottenere.

 

La cura funziona in tempi rapidissimi ed Edward riacquista – attraversando fasi orrorifiche e sanguinolente – un volto conforme. Qua l’idea di fondo è un po’ quella del patto col diavolo: una volta abbandonata quella deformità che a lungo lo aveva tenuto in gabbia, Edward vuole ricominciare da capo. E per farlo, uccide il suo vecchio io («Edward è morto») e si presenta al mondo, in questa nuova veste dal bell’aspetto, col nome di Guy (una sorta di Mattia Pascal che si crea una nuova vita sotto il nome di Adriano Meis): un uomo diverso, come dice il titolo. Ma non diverso dagli altri, bensì da se stesso.

 

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Guy conduce un’esistenza di tutto rispetto: si afferma a livello lavorativo come agente immobiliare, stringe delle amicizie e ha successo con le donne. Ben presto però gli si presenta l’occasione di fare un salto ulteriore, di ottenere quello che veramente aveva sempre desiderato: scopre che si stanno tenendo le audizioni per un ruolo che gli è molto familiare, quello di Edward. E la scrittrice e regista dello spettacolo teatrale è proprio Ingrid. Due piccioni con una fava: Guy in un colpo solo diventa attore e conquista la donna dei suoi sogni.

 

Ma come dice Jimmy Gaitor in Magnolia, «noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiude con noi».

 

E il passato si presenta un giorno sotto forma di Oswald, un uomo che ha la stessa patologia di Edward (l’attore che lo interpreta, Adam Pearson, ne è affetto veramente) ma che l’ha affrontata con tutto un altro piglio, e che è stato in grado di accumulare denaro, circondarsi di amicizie, avere molteplici amanti, un’ex moglie e una figlia. Tutto quello che Edward non era stato in grado di realizzare, nonostante avessero lo stesso aspetto.

Per quanto questo personaggio arrivi piuttosto tardi nella narrazione, è solo allora che il film inizia veramente: nellincontro e scontro di Edward-Guy col proprio doppio e quindi, allo stesso tempo, con se stesso.

 

A different man mette sul tavolo molte questioni, senza risolverle fino in fondo ma offrendo comunque molti spunti allo spettatore: il tema dell’identità innanzitutto, ma anche cosa significhi interpretare un ruolo e indossare una maschera (simbolicamente e letteralmente). Il tutto intessuto da una fortissima componente metateatrale e metacinematografica, con continui richiami e rimandi intertestuali.

 

Impossibile non pensare a The elephant man, il cui protagonista ha delle deformazioni visivamente molto simili a quelle di Edward (per quanto le due patologie siano diverse), a The Substance (anche se qui la «versione migliore di te» non è più giovane e più bella ma più affabile ed estroversa) o anche a Piel. A tratti ricorda Joker e Birdman per la questione dell’attorialità e dei disturbi mentali; l’esibizione di Oswald sembra essere uscita da Hideous di Yann Gonzalez (un cortometraggio stupendo che fa da videoclip alle altrettanto stupende canzoni di Oliver Sim), e l’idea di un doppio che arriva prepotentemente a sostituirsi in ogni aspetto della vita rievoca Nimic e, di conseguenza, il primo episodio di Kinds of Kindness.

 

Così, per quanto il film sia ben congegnato, risulti d’impatto e anche sorprendente, è come se però mancasse di una vera e propria originalità, rimandando sempre ad altro, in un continuo gioco di echi e di maschere. Maschere che sono sempre tenute su e mai abbassate veramente, celando così il vero volto di quest’opera, che non arriva a svelare fino in fondo la sua natura.