A Complete Unknown - Una pietra che rotola... a volte

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Venti anni fa il regista James Mangold, dopo la prima avventura nel dei biopic con Quando L’Amore Brucia L’Anima dedicato alla figura di Jonny Cash, è riuscito a ricreare la stessa magia con il suo A Complete Unknown?


Il film apre con un Dylan (Timothée Chalamet) ventenne rannicchiato nel retro di un’auto, mentre è in viaggio verso New York per incontrare il cantautore folk Woody Guthrie, uno dei suoi idoli ormai malato. Quando scende dall’auto, zaino in spalla e chitarra alla mano, Dylan sembra sbucare dal nulla, le sue origini sono un mistero e infatti il suo personaggio si fabbrica una backstory.


Raggiunto l’ospedale in cui è ricoverato Guthrie, Dylan gli dedica il brano Song to Woody, interpretato dal vivo con intensità e autenticità da Chalamet in una delle scene più toccanti del film. Lì Dylan conosce anche Pete Seeger – fedelmente interpretato da Edward Norton – cantautore folk che vede in lui il futuro del genere e lo prenderà sotto la propria ala aiutandolo con le prime esibizioni e introducendolo al panorama musicale dell’epoca. Seeger viene subito inquadrato come rappresentante del dogma del folk, fatto di musica acustica e impegno civile, in contrapposizione con il rumore della musica rock e il suo antagonismo con Dylan viene delineato in maniera troppo schematica e didascalica. Grazie all’aiuto di Seeger, Dylan inizia a esibirsi nei locali di New York dove conosce la cantautrice Joan Baez (Monica Barbaro) con la quale intreccerà la propria vita professionale e sentimentale.


Come qualsiasi biopic questo film condensa fatti, personaggi e luoghi per fini narrative, e se mentre molti dei cambiamenti effettuati sono logici ed efficaci, altri risultano invece forzati e irrealistici. Ne è un esempio la scena della notte trascorsa insieme da Dylan e Joan durante la crisi dei missili di Cuba: l’incontro tra i due avviene in una atmosfera apocalittica piena di isteria generale, quasi con una nota da commedia romantica all’interno di un disaster movie, risultando però privo di autenticità.


In tal senso, un altro esempio è il personaggio di Sylvie Russo (Elle Fanning), ispirato a Suzanne Rotolo, la ragazza che appare a braccetto con Dylan sulla leggendaria copertina dell’album The Freewheelin’. Il film riesce a mostrare solo in parte la portata dell’ingresso di Rotolo nella vita di Dylan. Fu lei infatti ad introdurlo al teatro di Brecht, all’attivismo politico e i temi sociali, e proprio dopo averla conosciuta lui iniziò a scrivere testi più politicamente impegnati.


A Complete Unknown non riesce a dipingere a pieno la complessità del loro rapporto né la misura del loro amore che nel film si evolve in maniera brusca e repentina. Anche in questo caso, come per il rapporto con Joan Baez, il personaggio di Dylan sembra distaccato da quello di Sylvie e in grado di fare a meno di lei. Nella realtà Suzanne ha dichiarato: «Bob era carismatico: era un raggio, un faro ma era anche un buco nero. Aveva bisogno di sostegno convinto e protezione che io non ero in grado di fornire con costanza, probabilmente perché ne avevo bisogno io stessa».

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A testimonianza invece dell’amore nutrito nei suoi confronti, in Ballad in Plain D Dylan le dedica versi come: «Io non posso essere scusato per quello che ho fatto / nemmeno i cambiamenti che stavo attraversando possono essere usati / per le bugie che le ho detto nella speranza di non perdere / quello che sarebbe potuto essere l’amore dei miei sogni e della mia vita». Certo, i testi delle canzoni non sono la realtà, ma il film sviluppa in maniera poco convincente e troppo lacunosa le relazioni di Dylan con le due donne finendo per non rendere giustizia a loro né all’amore che li legò.


Tornando alla sfera musicale, un terreno dove invece il film riesce a ritrarre con forza e perizia l’ascesa di Dylan e la rilevanza storica della sua musica, il suo periodo folk culmina con l’esibizione al Festival di Newport nel ’64, magistralmente architettata e diretta da Mangold. La scena si apre con un memorabile set di Johnny Cash che lascia il segno su Dylan, il quale poi si esibisce con Times They Are A-Changin’. Qui il film riesce a catturare sotto ai nostri occhi come una canzone possa diventare un inno, e la scena è di un’emozione palpabile, dando l’impressione di essere lì in quel momento insieme ai personaggi.


A questo punto il racconto compie una breve ellissi, tralasciando forse alcuni elementi importanti del percorso evolutivo dell’artista, per presentare nel 1965 un Dylan già diverso, vestito con una giacca di pelle nera e con indosso degli occhiali da sole anche quando fuori è notte. Il film riesce però a mostrare bene i lati negativi della fama e l’invidia delle persone attorno a lui, restituendo tutta la frustrazione dell’artista costretto a ripetersi meccanicamente, intrappolato in un ruolo che gli va stretto.


La voglia di affrancarsi dalle canzoni che lo hanno reso famoso e l’urgenza di esprimersi liberamente, portano Dylan a sperimentare con un altro genere, il rock, e a compiere il gesto rivoluzionario di esibirsi con strumenti elettrici al Festival di Newport nel ’65, sconvolgendo organizzazione e pubblico che passano dal vederlo come un profeta ad un Giuda. L’esibizione, durante la quale Dylan esegue brani nuovi come Maggies Farm e Like a Rolling Stone (scritta sapendo di fare qualcosa di nuovo e inesplorato), avviene in tempo reale e — seppur sovraccaricata da alcuni momenti forzati come ad esempio la scazzottata tra il manager di Dylan e l’organizzatore dell’evento — restituisce tutta la carica di quel grido di ribellione, ricordandoci che un grande artista deve potersi esprimere liberamente, evolvere, fare ciò che sente giusto per sé in un determinato momento ed essere fedele solamente a sé stesso.


Timothée Chalamet suona e canta tutti i brani con la propria voce senza cadere nel tranello della sbiadita imitazione ma dando linfa vitale al personaggio. La sua interpretazione si appiccica addosso e in generale tutto il cast compie un ottimo lavoro: se i personaggi hanno dei limiti la causa non va rintracciata nelle loro interpretazioni quanto nel modo in cui sono stati scritti. Come anticipato dal titolo, il protagonista rimane un perfetto sconosciuto, un’entità indecifrabile perché il film invece di avvicinarci al personaggio sembra mantenere le distanze senza riuscire pienamente a cogliere tutte le sfaccettature di un uomo che, come dice lo stesso Dylan in un brano più recente, contiene moltitudini.