Anemone - Recensione

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Anemone è scritto a quattro mani da Daniel Day-Lewis e da suo figlio Ronan Day-Lewis, che esordisce alla regia con un’opera ambiziosa e introspettiva.


Il film contiene una costellazione di temi - la mancanza di un padre per il figlio; il senso di colpa che divora, giorno dopo giorno; gli strascichi di vecchi conflitti civili e familiari; la fragilità umana - e cerca di trovare un baricentro.

Operazione impossibile ? Probabile, se non si è capaci di battere le leggi della fisica.


LA FRAGILITÀà DELL’ANEMONE

Il titolo del film fornisce, fin da subito, una chiave interpretativa: anemone deriva dal greco ànemos, vento/soffio, e la pianta, che prende il nome da questo etimo, viene associato alla fragilità, all'amore intenso e vulnerabile, in balia delle correnti.


Come questo bellissimo fiore, il protagonista Ray Stoker - il nostro Daniel Day Lewis - è una persona fragile, precaria. Un individuo costantemente eroso, scavato, consumato da forze più grandi di lui. Un uomo che ha deciso di non affrontare il presente a causa del suo passato. Ma con l’arrivo del fratello Jem - un anonimo Sean Bean - non potrà più sottrarsi a questo confronto.


IL CLIMA DIVENTA COSCIENZA

Il film si apre con la guerra civile irlandese, mostrata da disegni infantili di corpi che giacciono a terra, bandiere nazionali e soldati che imbracciano fucili. Subito dopo, seguiamo una corrente d’aria fredda scendere dall'alto e attraversare un bosco che si presenta fitto, oscuro, labirintico. Il vento, nostro compagno durante l’intera opera, costituisce a livello concettuale il primo grande simbolo all’interno della storia.


Le condizioni meteorologiche sono perennemente avverse: pioggia, tuoni e infine anche una grandinata di dimensioni spropositate, quasi bibliche. Questa violenza climatica, reale e simbolica, è la psiche di Ray, la sua emotività logorata dal tempo e dal senso di colpa che lo pervade.


Il temporale come caos vitale, una collisione tra fragilità e forza, la grandine distruzione annunciata, il momento in cui tutto ciò che era rimasto in sospeso precipita inevitabilmente.

Essa abbatte l’immobilità del nostro, costringendolo a uscire dall’isolamento, a confrontarsi con i propri traumi e le azioni commesse, come l’abbandono della famiglia.


IL BOSCO E LA CASA - I PAESAGGI DELLA MENTE

Anche il bosco, buio e inestricabile, è riflesso dello spazio mentale.

La casa, situata al centro della vegetazione, è una prigione senza luce, una caverna, che esclude il mondo; ma anche la possibilità di cura e cambiamento.


L'arrivo di Jem, porta con sé un elemento di novità. Un raggio filtrerà nell’abitazione, come se il chiarore fosse sempre stato lì fuori, in attesa, e questa non gli avesse mai permesso di entrare.

Da quel momento, la luce diventerà un elemento narrativo: il lento dischiudersi dell’io.




UN CONTESTO SFOCATO PER UNA SCRITTURA DISORIENTATA

La vicenda è ambientata intorno alla fine degli anni Ottanta, vent'anni dopo le stragi più sanguinose del conflitto nord-irlandese. Tuttavia, nel film nulla ci restituisce questa temporalità, nulla ci fa percepire di essere in un contesto storico specifico. Giusto qualche battuta.

Lo sfondo della guerra civile tra irlandesi e inglesi rimane colpevolmente abbozzato. Ridotto a un mero scenario in cui le cause, le conseguenze, le tensioni sociali non vengono mai approfondite come dovrebbero.


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Il vero punto debole del film, però, risiede nella motivazione dell’esilio volontario del protagonista. La ragione che lo spinge all’isolamento risulta forzata e di scarso spessore drammatico. Non basta per giustificare l’abbandono della famiglia durato vent’anni.

Lo squilibrio tra causa e effetto mina la credibilità del protagonista, e annienta ogni possibilità di empatizzare con le sue sofferenze.


L’ANEMONE COME MEMORIA

Ray è un uomo che tenta l’impossibile: sottrarre se stesso al peso del passato.

Lontano dal mondo, coltiverà l’anemone, lo stesso fiore che coltivava il padre, figura conflittuale e traumatica. Un gesto che svela quanto l'inconscio lo costringa a rivivere i traumi e la volontà cerchi di reprimerli, di allontanarli.


Non brucerà neanche le lettere della moglie, le conserverà senza leggerle, consapevole di ciò che c’è al di là della foresta: la sua vecchia vita.

Vuole mostrarsi coriaceo, ma internamente, nel proprio io, rimane fragile, logorato.


UN PROTAGONISTA E TRE OMBRE

La sceneggiatura concede molto spazio a Daniel Day-Lewis - il cui magnetismo e la cui assoluta bravura restano indiscutibili - privandone quasi del tutto Sean Bean, relegato ai margini. Un personaggio inesplorato, un estraneo per tutto il film.

Sorte peggiore tocca al figlio, Brian, figura centrale solo nelle intenzioni.


Non va meglio neanche con la scrittura del personaggio femminile - Nessa, l’ex moglie - interpretato da Samantha Morton, che appare impalpabile e senza un sano briciolo di rancore nei confronti dell’ex marito, che con la sua lontananza ha creato parecchi problemi al figlio.

Un personaggio piatto, servile, fastidioso quanto inverosimile nella sua sottomissione.


AMBIZIONE E INESPERIENZA

Anemone comunica la passione di questo giovane regista, ma anche tutta la sua inesperienza. La regia non è sempre curata, risultando in alcune sequenze eccessivamente pretenziosa. Il montaggio si mostra discontinuo, con cambi di tono improvviso, che si riflettono anche nei dialoghi - dall’humor britannico ai toni biblici, solenni - senza che vi sia un vero raccordo tra le parti, slegate tra loro.

La durata di oltre due ore pesa tanto e l’attesa non viene mai ripagata, lasciando anche una certa sensazione di scontentezza nello spettatore.


Ronan Day-Lewis procede incessante nell’ accumulo di figure: il vento, il bosco, la corsa sulla spiaggia, diventano annunci, simboli in potenza che non vengono mai sviluppati veramente. Tutto sembra voler rimandare a qualcosa di molto di più di quanto riesca effettivamente a dire il regista.


EPILOGO

Si percepisce l’intenzione di voler raccontare qualcosa di grande, essenziale, pretendendo molto dalle proprie capacità, forse troppo. Per ora manca una struttura capace di sostenere un’impalcatura così ambiziosa.


Anemone sarebbe dovuto essere un film sulla fragilità dell’amore, sul peso della memoria, sull'essere in balia dei venti interiori. Ironicamente, la cosa ad essere più fragile tra tutte è proprio la sceneggiatura.

Il film resta sospeso in un limbo tra ambizione e incompletezza, tra simbolismo e narrazione.


È un'opera prima che lascia un forte retrogusto amaro. Non un fallimento, piuttosto un tentativo incompiuto, e per questo, forse, più interessante nel suo errore.